"Gotica. Contrappunti d'architettura"
Mostra fotografica
Nell'ambito delle iniziative del XXX Festival Internazionale di Musica Sacra 2021 "Trinitas. Trinità dell'Umano"
Inaugurazione sabato 4 settembre 2021 ore 17.30
ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria inviando mail a media.naonis@libero.it
da sabato 4 a sabato 25 settembre 2021
Centro Culturale Aldo Moro di Cordenons (PN)
Lunedì, mercoledì, venerdì e sabato: ore 16-19
Info: centroculturapordenone.it
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Il progetto espositivo nasce nell’ambito della XXX edizione del Festival Internazionale di Musica Sacra organizzato da Presenza e Cultura, Associazione Culturale Media Naonis, Centro Iniziative Culturali Pordenone e Comune di Cordenons, con il sostegno della Regione FVG.
LO SPIAZIO SACRO
Daniele Indrigo, fotografo sacilese che opera da oltre vent’anni, ci ha incantato con la serie di fotografie che costituiscono la mostra intitolata “Gotica. Contrappunti d’architettura”.
Si tratta di immagini realizzate all’interno di grandi cattedrali di Francia e Gran Bretagna dalle quali, inevitabilmente, traspare la sostanza razionale che ha reso possibile quelle costruzioni, ma ancor più traspare quel senso di immersione in uno “spazio sacro”, che credo sia esperienza comune per tutti coloro i quali, visitando queste grandi, spesso immense strutture architettoniche, non siano insensibili al senso di un “mistero”, che non diventa meno avvertibile per il fatto di essere storicamente inserito entro le grandi strutture della cultura filosofica e teologica medioevale.
Indrigo, fotografando, ha scelto a volte tagli obliqui, di movimento, rinvigorendo quel senso di meraviglia, di stupore incantato che coglie il visitatore dentro un ambiente che lo sovrasta per la sua grandiosità, ma anche per la sua sostanziale inconoscibilità poiché, qualunque sia il punto in cui egli sosta, molte sono le parti della struttura che gli rimangono nascoste, alimentando così il senso dell’esplorazione e della scoperta, cioè il senso di un’esperienza che, se vissuta non superficialmente, si rivela essere, per le domande che via via propone, una vera e propria esperienza conoscitiva.
Indrigo, fotografando, ha scelto a volte tagli obliqui, di movimento, rinvigorendo quel senso di meraviglia, di stupore incantato che coglie il visitatore dentro un ambiente che lo sovrasta per la sua grandiosità, ma anche per la sua sostanziale inconoscibilità poiché, qualunque sia il punto in cui egli sosta, molte sono le parti della struttura che gli rimangono nascoste, alimentando così il senso dell’esplorazione e della scoperta, cioè il senso di un’esperienza che, se vissuta non superficialmente, si rivela essere, per le domande che via via propone, una vera e propria esperienza conoscitiva.
Spazio “sacro”, misterioso, e tuttavia anche spazio “accogliente”, se non altro per le risonanze culturali che esso suscita almeno nel visitatore europeo: per il quale la nozione di “cattedrale” importa certamente il senso della maestosità, ma anche quello di spazio aperto, spesso anche di spazio di protezione e rifugio, come fu nel medioevo e oltre.
E' quasi un senso di vertigine che lo sguardo, nel suo errare tra pareti e pilastri, volte e crociere, sperimenta, con ciò entrando in contatto con un “sacro”, che è quello infinito della divinità e che dunque è “vertiginoso” per natura, poiché non è commisurabile all’umano.
Indrigo tuttavia non insiste troppo sulle composizioni oblique. Molte immagini sono ottenute semplicemente puntando l’obiettivo verso l’alto, in una sostanziale regolarità di prospettiva e costruzione. Non per questo esse risultano meno sorprendenti, anzi, colpisce una preziosità che carica gli spazi di un’intensa aura mistica, un’aura che allontana – come del resto era nelle intenzioni dei costruttori medioevali – dalle istanze del quotidiano e immerge in una sorta di stupefatta, itinerante contemplazione.
Giancarlo Pauletto
E' quasi un senso di vertigine che lo sguardo, nel suo errare tra pareti e pilastri, volte e crociere, sperimenta, con ciò entrando in contatto con un “sacro”, che è quello infinito della divinità e che dunque è “vertiginoso” per natura, poiché non è commisurabile all’umano.
Indrigo tuttavia non insiste troppo sulle composizioni oblique. Molte immagini sono ottenute semplicemente puntando l’obiettivo verso l’alto, in una sostanziale regolarità di prospettiva e costruzione. Non per questo esse risultano meno sorprendenti, anzi, colpisce una preziosità che carica gli spazi di un’intensa aura mistica, un’aura che allontana – come del resto era nelle intenzioni dei costruttori medioevali – dalle istanze del quotidiano e immerge in una sorta di stupefatta, itinerante contemplazione.
Giancarlo Pauletto